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BELLAMY Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 26 settembre 2009
 
di Claude Chabrol, con Gérard Depardieu, Clovis Cornillac, Jacques Gamblin, Marie Bunel, Vahina Giocante, Marie Matheron (Francia, 2009)
 
Scoprire oggi Claude Chabrol? Eccolo il miracolo inatteso che permette talvolta all'artista più che maturo di sorprendere ed esaltare ulteriormente. Itinerario denso come pochi altri, il suo; ineguale ma inappuntabile per coerenza, non solo nel fustigare le magagne della borghesia. Ma nell'esplorazione di un fondamentale lascito hitchcockiano: l'affermazione che, se applicata con la dovuta diligenza, l'ambiguità della trasparenza e la duplicità della non-persistenza delle immagini cinematografiche permette sempre di sondare le infinite contraddizioni dell'animo umano.

BELLAMY ne è un esempio eclatante. Un poliziesco, con il commissario alle soglie del pensionamento che ricade nel vizio dell'inchiesta, perfettamente congegnato, ma in pratica quasi un pretesto. Poiché il cineasta, assieme ad un attore con il quale si ritrova in irripetibile simbiosi, trasforma l'aneddoto noir in una vicenda tragicomica dell'intimo:una visione tenera e malinconica, di un'autenticità commovente. Certo, c'è un omicidio che forse è un suicidio, un mistero da risolvere. Ma, soprattutto, il fratello minore che sbarca a perturbare la paciosa rassegnazione vacanziera del commissario. Un opposto, disonesto, approfittatore, alcolista e ovviamente geloso. Ma il rivelatore della natura più nascosta del protagonista; il suo lato oscuro.

In epigrafe, allora, una frase del poeta W.H. Auden ci illumina ulteriormente: “esiste sempre un'altra storia, qualcosa in più di ciò che l'occhio riesca mai ad afferrare”.

BELLAMY, dietro l'apparenza dell'impeccabile naturalismo che organizza la vicenda, diventa allora l'autoritratto sottile e commovente di un momento psicologico, lo specchio esistenziale di una fuga in avanti unisona di due mosti sacri dello spettacolo, il regista reso alla vita dopo tante opere soltanto funzionali, e quel mostruoso, naturalissimo fino alla provocazione Gérard Depardieu. L'indagine dell'intimo, il quadro domestico di uno sfondo apparentemente normale si fanno allora infinitamente più importanti di quella del crimine. Mentre il paradossale girotondo a incastro dei personaggi sembra allontanarsi in filigrana, s'impone la forza di una riflessione disincantata ma terribilmente vera sulla relatività delle apparenze. E sulla nostra presunzione di venirne a capo.


   Il film in Internet (Google)

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